Journal of Clinical Investigations, settembre 2024
Organoidi cerebrali: un modello ideale per lo studio delle microcefalie umane
È possibile ottenere un ottimo modello sperimentale di una grave forma di microcefalia grazie agli organoidi cerebrali, un sistema totalmente in vitro che utilizza cellule staminali riprogrammate (cellule iPS). Lo dimostra il recente studio del gruppo NICO di Neurogenesi embrionale pubblicato sul Journal of Clinical Investigations: il modello degli organoidi permette di investigare quali aspetti della proliferazione delle cellule progenitrici neurali umane sono particolarmente caratteristici, offrendo spunti che potrebbero avere ricadute nella comprensione dell’evoluzione del cervello umano e della biologia dei tumori cerebrali.
Gianmarco Pallavicini,1,2 Amanda Moccia,3 Giorgia Iegiani,1,2 Roberta Parolisi,1,2 Emily R. Peirent,4 Gaia Elena Berto,1,2 Martina Lorenzati,1,2 Rami Y. Tshuva,5 Alessia Ferraro,1,2 Fiorella Balzac,6 Emilia Turco,6 Shachi U. Salvi,3 Hedvig F. Myklebust,3 Sophia Wang,3 Julia Eisenberg,3,7 Maushmi Chitale,3 Navjit S. Girgla,3 Enrica Boda,1,2 Orly Reiner,5 Annalisa Buffo,1,2 Ferdinando Di Cunto,1,2 and Stephanie L. Bielas 3,4,7
I modelli sperimentali animali rappresentano uno strumento indispensabile per la ricerca sulle malattie genetiche umane, in virtù della grande conservazione evolutiva dei geni e dei meccanismi biologici implicati in queste patologie. Tuttavia, alcuni aspetti della biologia umana sono così specifici da non poter essere facilmente riprodotti e investigati nelle specie più comunemente utilizzate in laboratorio. Tra questi, una delle caratteristiche più peculiari dell’uomo è di sicuro il forte aumento del volume del cervello che ha caratterizzato la nostra recente storia evolutiva.
Le microcefalie primarie (MCPH) sono patologie caratterizzate da una forte riduzione del volume del cervello, dovute frequentemente a mutazioni di specifiche sequenze del genoma, che possono determinare disabilità intellettiva e altri importanti sintomi neurologici. Finora sono stati identificati almeno 30 geni specificamente alterati nelle MCPH e si è scoperto che decine di sindromi genetiche sono associate a quadri di spiccata microcefalia.
Il gruppo di Neurogenesi embrionale del NICO, coordinato dal prof. Ferdinando Di Cunto, studia da diversi anni una particolare forma di MCHP (la MCPH17), avendo descritto già nel 2000 l’associazione tra mutazioni del gene CIT e una grave forma di microcefalia. La scoperta delle mutazioni di CIT in pazienti microcefalici, avvenuta nel 2016, ha evidenziato nell’uomo due tipologie di mutazione, associate a quadri clinici di diversa gravità.
Il recente lavoro condotto nello stesso gruppo dal dr. Gianmarco Pallavicini e dalla dr.ssa Giorgia Iegiani - in collaborazione con la prof.ssa Stephanie Bielas (Università del Michigan) - dimostra che solo la forma più grave della patologia, associata a un’alta mortalità perinatale, può essere riprodotta nel topo. La seconda forma, che si associa comunque a una fortissima riduzione del volume del cervello, è invece specifica dell’uomo.
Da sinistra: il dr. Gianmarco Pallavicini, il prof. Ferdinando Di Cunto e la dr.ssa Giorgia Iegiani
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Clinical Investigations, dimostra che è possibile ottenere un ottimo modello sperimentale della seconda forma di MCPH17 nel modello degli organoidi cerebrali, un sistema totalmente in vitro nel quale strutture simili a quelle del cervello in via di sviluppo possono essere ottenute a partire da cellule staminali riprogrammate (cellule iPS), derivanti da piccole biopsie cutanee o dalle cellule del sangue di pazienti.
Il modello degli organoidi ha anche offerto un ottimo sistema per investigare quali aspetti della proliferazione delle cellule progenitrici neurali umane sono particolarmente caratteristici, offrendo spunti che potrebbero avere ricadute nella comprensione dell’evoluzione del cervello umano e della biologia dei tumori cerebrali.
Questo studio dimostra quindi le grandi potenzialità offerte dalle colture 3D di cellule staminali, che - in particolari situazioni e per diverse problematiche - possono affiancare o addirittura sostituirsi con vantaggio al modello animale.
Nella microcefalia MCPH17 sono state descritte mutazioni del gene CIT di due tipi: uno più grave (KI), che determina la perdita di una attività biochimica della proteina, e una più grave (FS) che determina la perdita di tutta la proteina. Nell’uomo entrambi i tipi di mutazione determinano microcefalia, più grave nei casi FS. Nel topo la microcefalia è prodotta solo da mutazioni FS. Gli organoidi cerebrali si dimostrano un modello migliore di quello murino, perché oltre alla caratteristica morte cellulare e ai problemi di divisione dei progenitori, comuni a tutti i modelli, si riscontra sia nei casi FS che in quelli KI una caratteristica alterazione morfologica, con semplificazione della struttura e allargamento della cavità centrale.
1 Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi, Turin, Italy.
2 Department of Neuroscience “Rita Levi Montalcini”, University of Turin, Turin, Italy.
3 Department of Human Genetics and 4 Neuroscience Graduate Program, University of Michigan Medical School, Ann Arbor, Michigan, USA.
5 Departments of Molecular Genetics and Molecular Neuroscience, Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israel.
6 Department of Molecular Biotechnology and Health Sciences, University of Turin, Turin, Italy.
7 Department of Pediatrics, University of Michigan Medical School, Ann Arbor, Michigan, USA.
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