Quale futuro per il cervello umano

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sabato 20 ottobre 2018
Quale futuro per il cervello umano
Luca Bonfanti, NICO - Università di Torino

«Che cosa c'è di meglio della Ricerca di base per guardare lontano? La Ricerca fondamentale è il nostro telescopio per guardare nel futuro!»

L’oggetto biologico più complesso dell’universo conosciuto, il cervello, è sempre stato considerato un organo statico, ovvero un sistema in cui le relazioni tra gli elementi costitutivi sono
invariabili. E in gran parte lo è, poiché la maggior parte dei neuroni non va incontro a rinnovamento come le altre cellule del corpo. Tuttavia, da alcuni decenni sappiamo che la struttura
del cervello può cambiare nel corso dell’intera vita dell’individuo.

Questa “plasticità cerebrale” consiste nella continua creazione ed eliminazione dei contatti tra i neuroni (le sinapsi) arrivando anche, in alcune aree del cervello, alla genesi di nuovi neuroni. Un aspetto affascinante di questo filone di ricerca è il fatto che le modificazioni strutturali possono essere indotte e modulate dall’ambiente esterno e quindi dagli stili di vita di ogni individuo. In altre parole, ciò che facciamo cambia l’architettura del nostro cervello. Un esempio? Nei topi che corrono sulla ruota aumenta la nascita di nuovi neuroni nell’ippocampo, migliorando le capacità cognitive.

Ma la plasticità cerebrale potrebbe anche essere la chiave per sconfiggere malattie neurologiche o prevenire patologie  neurodegenerative oggi incurabili. Anche se l’obiettivo non è stato ancora raggiunto, queste conoscenze ci danno informazioni per “coltivare” la plasticità sin da giovani adottando opportuni stili di vita (ed evitandone altri) in modo da prevenire l’insorgenza di demenze senili, dilazionarne l’esordio o ridurne l’impatto. Va da sé che la plasticità è anche una difesa contro l’invecchiamento del cervello, soprattutto nelle società contemporanee in cui, con l’aumentare delle aspettative di vita aumentano le insidie per questo organo “statico”. Ed ecco dimostrato che cosa conta veramente nel nostro futuro: non i soldi o l’assicurazione sulla vita, ma la plasticità cerebrale.

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