21 settembre, Giornata mondiale dell'Alzheimer

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20/09/2021
21 settembre, Giornata mondiale dell'Alzheimer

21 settembre 2021
Giornata mondiale dell'Alzheimer

Facciamo il punto sulle prospettive delle cure e della ricerca.

Il morbo di Alzheimer è la più comune forma di demenza senile degenerativa, causa il declino inesorabile delle funzioni cognitive ed esecutive che interessano la memoria, l’apprendimento e il linguaggio. La demenza non è una malattia specifica, bensì un termine generale che descrive una vasta gamma di sintomi associati al declino della memoria o di altre capacità intellettive sufficientemente grave da ridurre la possibilità di un individuo di svolgere autonomamente le attività quotidiane. Il morbo di Alzheimer rappresenta il 60-80% dei casi di demenza nel mondo.

Una priorità mondiale di salute pubblica

La malattia è in crescente aumento nella popolazione mondiale ed è stata definita, secondo il Rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e di Alzheimer Disease International, una priorità mondiale di salute pubblica: "Nel 2010 35,6 milioni di persone risultavano affette da demenza con stima di aumento del doppio nel 2030, del triplo nel 2050, con 7,7 milioni di nuovi casi all'anno (1 ogni 4 secondi) e con una sopravvivenza media, dopo la diagnosi, di 4-8-anni. La stima dei costi è di 604 miliardi di dollari all'anno con incremento progressivo e continua sfida per i sistemi sanitari. Tutti i Paesi devono includere le demenze nei loro programmi di salute pubblica. A livello internazionale, nazionale regionale e locale sono necessari programmi e coordinamento su più livelli e tra tutte le parti interessate".

I fattori di rischio e l'incidenza

Il maggior fattore di rischio associato all'insorgenza della malattia è l'età e il sesso femminile. La prevalenza della demenza nei paesi industrializzati è circa del 8% negli ultrasessantacinquenni e sale ad oltre il 20% dopo gli ottanta anni. Secondo alcune proiezioni, i casi di demenza potrebbero triplicarsi nei prossimi 30 anni nei paesi occidentali.

In Italia, secondo le proiezioni demografiche, nel 2051 ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani, con aumento di tutte le malattie croniche legate all'età, e tra queste le demenze. Attualmente il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1 milione (di cui circa 600.000 con malattia di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo.

Le nuove, controverse, prospettive di cura

È di inizio gennaio la notizia di un nuovo anticorpo monoclonale - il Donanemab, proposto dall’azienda farmaceutica Eli Lilly - che sembrerebbe efficace nel “ripulire” dalla proteina amiloide il cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer (AD) in fase prodromica o lieve.

B-amiloide
Uno dei marker più studiati della malattia di Alzheimer: la β-amiloide. Inizia a depositarsi sotto forma di placche molti anni prima dell’insorgere della malattia.

Gli anticorpi (Donanemab) contribuirebbero a eliminare l’amiloide, il cui accumulo a livello cerebrale sembra essere il principale responsabile dell’AD, e inoltre rallenterebbero significativamente la progressione del declino cognitivo. Solo pochi mesi dopo, a giugno, Eli Lilly ha fatto sapere che vorrebbe inoltrare all'agenzia americana del farmaco (FDA) la richiesta di approvazione accelerata per l’utilizzo terapeutico delle immunoglobuline anti-amiloide, entro il 2021. La decisione è stata resa nota poco dopo che la stessa FDA ha concesso l'approvazione  per l’utilizzo dell'anticorpo anti-amiloide Aduhelm (aducanumab) di Biogen ed Eisai per il trattamento della malattia di Alzheimer.

Appare chiaro come, in un momento storico in cui gli anticorpi rappresentano un obiettivo di estrema importanza per la salute mondiale, la prospettiva di una “profilassi anti-amiloide” sembra essere una meta ambita da molte case farmaceutiche, per quanto ancora controversa dal punto di vista clinico, come dichiarato da numerosi ricercatori coinvolti nell’analisi dei dati. A fronte di tali avvenimenti la strada da percorrere per raggiungere risultati universalmente condivisibili sembra essere ancora lunga e tortuosa.

La ricerca al NICO

A oggi, però, la ricerca si concentra anche sulle abitudini di vita e su quelle condizioni che possono rappresentare un fattore di rischio in grado di determinare nel tempo la malattia. Infatti, la malattia di Alzheimer inizia il suo decorso asintomatico numerosi anni prima che si manifestino i deficit cognitivi.

Nel nostro laboratorio di Sviluppo e patologia del cervello - guidato dal prof. Alessandro Vercelli - abbiamo studiato fattori quali ipercolesterolemia, iperglicemia e alterazioni vascolari.

I risultati ottenuti dalla prof.ssa Elena Tamagno e dalla dr.ssa Michela Guglielmotto (nella foto qui in basso con Valeria Vasciaveo, un'altra ricercatrice del gruppo di Sviluppo e patologia del cervello) in questi anni dimostrano che i disordini metabolici e i piccoli infarti cerebrali possono nel tempo determinare l’instaurarsi di quei meccanismi che causano la perdita neuronale tipica della malattia.

Guglielmotto_Vasciaveo
Guglielmotto M. et. al. (2019) Stroke and Amyloid-β Downregulate TREM-2 and Uch-L1 Expression that Synergistically Promote the Inflammatory Response. J Alzheimers Dis
Guglielmotto M. et. al. (2017) The decrease of Uch-L1 activity is a common mechanism responsible for Aβ 42 accumulation in Alzheimer’s and Vascular Disease. Frontiers in Aging Neuroscience
Guglielmotto M. et. al. (2012) AGEs/RAGE complex upregulates BACE1 via NF-kappaB pathway activation. Neurobiol Aging;
Mastrocola R. et.al. (2011) Dysregulation of SREBP2 induces BACE1 expressionNeurobiol Dis.

Gli studi sul regime alimentare

Sulla base dei risultati ottenuti, abbiamo intrapreso uno studio su modelli animali di malattia sottoposti a un regime alimentare controllato per tre mesi, al fine di verificare se la dieta utilizzata possa proteggere dal danno neuronale normalmente riscontrabile nel modello transgenico utilizzato.

Questo studio, attualmente in corso in collaborazione con il prof. Massimo Tabaton dell’Università di Genova, mira a determinare se un regime alimentare definito possa rappresentare una “buona abitudine di vita”, facilmente applicabile e condivisibile, che sia in grado di controllare positivamente quei meccanismi patologici legati all’invecchiamento o dovuti a quelle malattie metaboliche coinvolte nella patogenesi della malattia di Alzheimer. [La dieta anti Alzheimer. Consigli e ricette per prevenire la malattia del terzo millennio. Autore: Cinzia  Cuneo e Massimo Tabaton; Demetra 2019].

E quelli sui marker predittivi

Inoltre, di recente, abbiamo intrapreso studi traslazionali che mirano a confermare e a rendere applicabili clinicamente i risultati ottenuti in laboratorio. In particolare, in collaborazione con il Prof. Innocenzo Rainero e la dott.ssa Silvia Boschi della Neurologia dell’ospedale Molinette - Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, stiamo studiando la modulazione di un piccolo frammento di RNA non codificante (miRNA218) nel sangue dei pazienti.

Abbiamo osservato come questa piccola molecola di acido nucleico sia espressa diversamente nel corso dei vari stadi della malattia e soprattutto come sia evidente una differenza di genere tra individui malati e individui sani.

AT8 Magnani
Immagine della proteina Tau, altro marker della malattia di Alzheimer, che si accumula all’interno dei neuroni sotto forma di grovigli neuro fibrillari portando a deficit di memoria e disfunzioni sinaptiche.

Il nostro obiettivo è identificare marker predittivi in grado di aprire una finestra temporale che consenta di intervenire terapeuticamente e rallentare il decorso della malattia.

Guglielmotto M. et. al. (2020)  Estrogens Inhibit Amyloid-β-Mediated Paired Helical Filament-Like Conformation of Tau Through Antioxidant Activity and miRNA 218 Regulation in hTau Mice. J. Alzheimer Dis.

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