LA RICERCA
DALL’APPROCCIO CLINICO ALLA RICERCA DI BASE SUI TRAUMI MIDOLLARI E LA RIGENERAZIONE NEL MIDOLLO SPINALE
Unire le forze per affrontare una delle più grandi sfide della ricerca: riparare le lesioni del midollo spinale, un problema di drammatico impatto sulla sanità pubblica, con un’incidenza in Europa di circa 16 pazienti ogni milione di abitanti, cioè 800 nuovi casi all’anno in Italia. Con questo obiettivo nasce il gruppo di studio che mette insieme approcci complementari: quello clinico del neurochirurgo con quello della ricerca di base, svolta dai nostri anatomici e fisiologi.
Le lesioni vertebro-midollari causano più o meno gravi disabilità, con importanti ripercussioni sociali, assistenziali ed economiche. Sono dovute a incidenti stradali, sportivi o domestici, ma possono anche essere la conseguenza di processo degenerativo della colonna con un’incidenza di 8 casi su 100 mila abitanti. Le campagne di prevenzione hanno abbattuto la percentuale di mielolesi per problemi vertebro-midollari dal 70% al 45%, cifra comunque con un impatto sociale ancora importantissimo.
«Il nostro obiettivo è riuscire a stimolare la rigenerazione delle fibre nervose lesionate tramite terapie sperimentali innovative, studiando nuovi approcci riparativi e di riabilitazione» sottolinea il nostro direttore Alessandro Vercelli. «Per affrontarlo al meglio abbiamo deciso di unire le forze, creando un gruppo di ricerca traslazionale formato dal neurochirurgo Diego Garbossa, il Direttore della Scuola di Specializzazione in Neurochirurgia dell’Università di Torino - Città della Salute e della Scienza di Torino, con cui collaboriamo da tempo, e dalle nostre ricercatrici Marina Boido e Annalisa Buffo, entrambe afferenti al Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino».
«L’evoluzione delle tecniche chirurgiche, neuro-radiologiche e dei protocolli operativi possono in parte modificare la gravità del deficit neurologico che però una volta instaurato potrà solo parzialmente o per nulla essere variato» spiega il neurochirurgo Diego Garbossa, Primario di Neurochirurgia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Neurochirurgia dell’Università di Torino - Città della Salute e della Scienza di Torino.
«La chirurgia, grazie a tecniche sempre meno invasive, può riallineare fratture vertebrali, ridare il giusto spazio al canale midollare e può decomprimere radici spinali compresse, ma poco può fare laddove un danno midollare sia conclamato. Solo la scienza di base – conclude il prof. Garbossa - potrà aiutare a ripristinare in futuro lesioni neurologiche invalidanti, magari nel contesto dell’intervento riparativo stesso».
Un tempestivo approccio chirurgico e farmacologico è fondamentale per limitare l’espandersi della lesione e per ridurre l’edema midollare, ma può non essere sufficiente a garantire il recupero delle funzioni motorie e sensitive compromesse. Le fibre nervose spinali lesionate hanno una scarsissima capacità di rigenerare da sole, venendosi a trovare in un ambiente inibitorio in cui il sito di lesione rappresenta una reale barriera fisica per la loro ricrescita. A oggi una delle più grandi sfide della ricerca è quindi riuscire a stimolare la rigenerazione di tali fibre, tramite terapie sperimentali innovative. Data la complessità della patologia e dei meccanismi cellulari e molecolari coinvolti, sono necessari approcci combinati.
Da un lato, quindi, bisogna favorire la sopravvivenza dei neuroni danneggiati e la ricrescita delle fibre nervose: «Stiamo sperimentando biomateriali funzionalizzati e cellule staminali [nell'immagine in alto: cellule staminali trapiantate in un midollo spinale lesionato] per stimolare le fibre a crescere oltre il sito della lesione - spiega la nostra ricercatrice Marina Boido, anatomica - inoltre, promuoviamo meccanismi pro-rigenerativi normalmente inattivi nei neuroni centrali mediante approcci biomolecolari, o stimolando l’attività dei neuroni con metodi non invasivi come la stimolazione magnetica transcranica».
Dall’altro, occorre agire sull’ambiente circostante i neuroni: «Mediante approcci farmacologici cerchiamo di limitare l’infiammazione e l’azione delle molecole inibitrici della riparazione - aggiunge la prof.ssa Annalisa Buffo, fisiologa, anche lei in forza al NICO - e stimoliamo la produzione di fattori neuroprotettivi e trofici. In questo modo i neuroni potranno esprimere il potenziale rigenerativo che avremo incrementato. Infine - conclude - per favorire la formazione e la stabilizzazione di nuovi circuiti funzionali, studieremo protocolli riabilitativi che insegnino al cervello a usare le nuove connessioni per eseguire le funzioni perdute».
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